Fiere ed Artigiani in esse coinvolti

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Ammetto che la mia prima tentazione è stata intitolare questo post “Al Contadino non far sapere/quant’è buono l’artigiano nelle fiere”, ma è normale che mi vengano idee di merda quando non mangio.

Questa domenica, come ogni anno, mi sono recato all’annuale fiera degli artigiani che si raccolgonoa Rho per mostrare al mondo i prodotti tipici delle regioni di appartenenza (principalmente alcolici, cibi e vezzosità – in quest’ordine).

Il programma per quest’anno era il solito; Arrivo alle ore 10.30, ubriachezza molesta da raggiungersi entro e non oltre le 11.30.

Il Programma (la cui sacralità gli conferisce la maiuscola) è stato intralciato da qualche problema logistico; Innanzitutto il bardo si muove secondo il fuso orario di Ronchis, per cui è perennemente mezzora in ritardo (anche quando si trova a Ronchis) e a nulla vale piazzare appuntamenti sul presto, poichè vengono disillusi con puntuale (ha) ferocia.

Nicolas, invece, vive sul fuso orario del Cile, quindi è pure peggio; Inoltre ha problemi a dormire, tranne quando ci diamo appuntamento, quando riesce a dormire fino a che non lo sveglio io nell’orario prefissato chiedendogli dove sia. In accordo col medico curante, ho con lui appuntamenti ogni mattina.

Jack, unico mio conoscente che sa leggere un orologio, aveva l’influenza.

Raggiungo dunque il sito della Fiera in autonomia, accompagnato da Chiara, ed iniziamo a colpire subito i bersagli sensibili.

I padiglioni più difficili da navigare, ogni anno, sono quelli del suditalia; si riempiono di individui proveniente dalle regioni più calde che per un motivo o per l’altro appestano vivono a Milano (quelli che scherzosamente chiamiamo Terroni) e vogliono cercare in un sobrio assortimento di porcellane finemente decorate o in un morso di nduja il sapore e l’odore di una casa abbandonata da tempo.

E di Terroni a milano e dintorni cen’è un sacco.

Quindi, a parte nelle ore immediatamente successive all’apertura dei cancelli, le vie che compongo la zona Campania-Calabria-Puglia-Sicilia diventano un simpatico re-enacment della Salerno – Reggio Calabria; La nostra missione diventa dunque quella di recarci a fionda presso la Sicilia, localizzare la miglior crema di pistacchi di quest’anno e acquistarne abbastanza per il consumo medio di due adulti per una settimana, ovvero circa sessantadue chili (a testa).

Chiediamo al buon Gilo, che bazzica la fiera dalle sei antelucane, quale sia questo banchetto e navighiamo verso le sue verdi e vellutate creme; Spendiamo cifre folli e ci allontaniamo cercando Gilo stesso, che recuperiamo poco dopo vestito completamente in tuta, che è un modo come un altro per dire “non me ne frega più un cazzo”.

Poco dopo, al banchetto della carne secca toscana (vendono anche altro, ma chi se ne frega), ci raggiungono il Bardo e Mimmo, e ci appropinquiamo a fare incetta della sopracitata carne essiccata. Stiamo chiaccherando amabilmente di come l’odore che proviene dal ristorante Romano ricordi da vicino quello che si sente in certe roggie, e non ci accorgiamo che siamo in fila dietro di loro.

Loro.

Tre sciure che hanno deciso che il posto migliore per fare la spesa è qui, l’Artigiano in Fiera, il posto dove qualsiasi cosa compri è sovraprezzata del 25%.

E ‘ste tre stronze sono in piedi davanti a noi, che comprano chili di pecorino e quarti di maiale insaccato, parlando con un commesso che dalla rapidità ha evitato di finire insaccato a sua volta per un errore della costumista.

Procediamo dunque verso il padiglione del nordest, dove campeggia una scritta enorme che ci informa che stiamo entrando nell’area del Friuli Venezia Giulia.

“la mia gente è umile come al solito, non come quegli sfigati trentini”

-il Bardo

La scritta era così grande che partiva a Rho e finiva in Friuli.

Come ogni anno, il bardo esamina il menu del ristorante furlano. Come ogni anno, lamenta la mancanza di piatti tipici noti solo a lui (e a Mimmo, che è mezzo terrone e mezzo friulano, e si detesta da solo a giorni alterni). Come ogni anno, cerca la birra di Sauris senza trovarla.

“sono sicuro che è qui attorno! l’anno scorso c’era!”

“l’anno scorso a quest’ora eri già ubriaco, chissà cos’hai visto…”

“era vicino alla casetta tonda verde!”

“il cestino del vetro?”

Decidiamo di dirottarci sul bergamasco e spararci un’ottima birra Sguaraunda prima di proseguire alla volta dell’irlanda/ingalterra/scozia.

La zona è un altra tappa obbligata; quest’anno mi è stata negata la guinness della fiera, adducendo scuse patetiche tipo “hai bevuto tipo tre bicchieri di scotch al banco di whiskyitaly, ti reggi in piedi a malapena”. Nego ogni accusa in tal senso.

Al banchetto di whiskyitaly, comunque, ho assaggiato degli ottimi scotch, che vi consiglierei anche, se solo ricordassi cos’erano.

Recuperiamo Nicolas (arrivato a mezzogiorno e mezzo a fronte di un appuntamento fissato alle dieci) e perdiamo Gilo e consorte, che adducono scuse patetiche per infrattarsi in bagno prima, sparire in macchina poi. “ci vediamo in francia”, dicono. Forse intendevano la nazione e non il padiglione; non lo sapremo mai.

Procedo a fare un po’ di fondo, ingollando in rapida successione un paio di etti di zucchero e cannella sottoforma di dolce spiroidale ungherese ed un panino col crudo del portogallo; Da “pericolosamente barcollante” passo a “pericolo per gli altri e se stesso”, e proseguo nel girovaghìo per la fiera.

Sempre in zona abbiamo gustato una breve performance dei Saor Patrol, un gruppo di simpatici scozzesi che si dilettano con cornamusa e percussioni.

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immutati da oltre dieci anni, probabilmente highlander in tutti i sensi

Quest’anno, oltre al cd che ci comperiamo ogni anno, ci siamo fatti fare pure gli autografi. Tiè, alla faccia vostra.

Gilo ci comunica via sms di essere in macchina alla volta di casa, caino fedifrago quale è; Saremmo molto offesi se non fossimo anche noi al binario del passante, alla volta di casa, per fuggire dalla bolgia infernale che sta rapidamente diventando la fiera.

La parte migliore? abbiamo visto solo metà dei padiglioni, e Chiara mi ha già detto “dovremo tornarci che volevo vedere un po’ il caffè colombiano e un paio di robe austriache…”

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