Just a Man and his will to survive

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Si, parlerò brevemente ancora del correre.

(se “brevemente” vuol dire “tutto il post”)

E’ bello quando esci per correre, e ti dici “correrrò un dieci minuti, un quarto d’ora al massimo, poi boccheggio verso casa” e invece ti fai una mezzoretta pulita.

Si è trattato di 4 km di corsetta, quindi un pò sotto la media, ma adeguato come primo allenamento dopo la pausa vacanziera. E’ stato inoltre il primo allenamento in cui ho potuto testare la mia nuova playlist creata all’uopo per il training autogeno mentre sputo l’anima.

Playlist da corsa di Pito – Run for your life

1 – Into The Storm – Blind Guardian
Che c’è da dire? il primo pezzo di Nightfall in Middle Earth. Through the dark age, and into the storm! Adatto per il riscaldamento. Verso la fine di questo pezzo il respiro passa da “AH AH MA CHE STAI FACENDO CAMMINI?” a “no spe a me nessuno ha detto che si correva”

2- His name was King – Luis Bacalov
Da Django unchained, ma prima ancora dal film omonimo. E’ un pezzo quasi rassicurante dopo l’epic metal, aiuta ad abbassare un pò il passo (di norma con il metal corri. non c’è cazzi. con questo corri ma ti ricordi che devi respirare).

Essendo che per aiutarmi a non morire di noia uso l’app Zombies, Run! per correre, i pezzi sono intermezzati da snippet di storia di 30 – 60 secondi che ti spiegano perché oggi stai correndo, quale missione porti a termine per la città di Abel e quanto vicino a te le orde dei non morti si trovano. Il secondo pezzo di solito finisce attorno al minuto sette, quando ormai ho preso un ritmo ed ho spezzato il fiato, come si dice.

Entri in un groove che senti di poter tenere per ore. E poi incroci duea rampe di scale in mezzo al parco. Le fai, e il groove sen’é bello che andato. Siamo al minuto dieci, in bocca c’è qul bolo misto saliva – muco – sudore – morte che pure a sputarlo fai una fatica spaventosa, e devi farla, se no ti rimane attaccato tramite microfilo.

Insomma sei li che non sai se ce la fai o se dopotutto per oggi basta così, che il mio l’ho fatto e insomma, quando parte.

3 – Eye of the Tiger – Survivor
Qualsiasi idea di mollare svanisce miseramente davanti a questo pezzo. E’ forza di volonta allo stato puro; non puoi smettere di correre, non puoi smettere di far fatica con eye of the tiger nelle orecchie. Tanto dura quattro minuti. puoi correre altri quattro minuti. Mia nonna corre quattro minuti, ed è morta. sei peggio di mia nonna? E corri, cazzo.

(il mio training non si basa su “sei il migliore spacchi i culi ammazzali a quelli stronzi” ma su una tecnica più “è questo il meglio che sai fare? lol k”. Immagino che non sia sorpresa per nessuno il fatto che io usi la rabbia per superare le avversità)

Quindi corro ‘sti cazzo di 4 minuti. Torna il fiato. A denti stretti affronto anche la seconda salita del parco, e mi godo la discesa. In pratica ho finito il primo giro. Da qui in poi le gambe centrano poco, si sono arrese all’evidenza dello sforzo a loro richiesto: finchè c’è qualcuno che dice “andate”, loro vanno. Il problema è avere qualcuno che dice andate. Per fortuna, il prossimo pezzo è

4 – Mirror Mirror – Blind Guardian
Questo pezzo risveglia in me ricordi giovanili. E’ il bis più richiesto dei blind guardian, e la canzone che tira giù qualsiasi posto in cui si canti. uscì pure come singolo.

Shall we are the dragon? e certo. si continua a correre. Gli elfi combatterono Morgoth pur certi della sconfitta. Sono da meno di un fottuto elfo? Non credo proprio.

5 – I say a little prayer – Aretha Franklin (nella versione di Glee) (e ce lo so)
A questo punto siamo attorno al 17esimo minuto e inizio a sragionare. Necessito un momento di stacco in cui non sto insultando la debolezza generica dell’uomo e la mia specifica, ed opto quindi per un pezzo leggero. Perché la versione di Glee? Perché farei cose innominabili alla voce angelica di Dianna Agron. A Dianna Agron no, perché a questo punto non ho la forza di sollevare un cucchiaino.

6 – Who am I? – Les Miserables
Oh beh, che a me piacciano i musical non è un segreto per nessuno. Who am I? I’m Jean Valjean! Di fronte al sacrificio di Valjean nel nome della verità, cosa vuoi che sia correre ancora qualche minuto?

7 – Come on Eileen – Dexys Midnight Runners
Colpo finale; Immaginate il Dr Cox. “Come on, Eileen, can’t you run for a couple more minutes?”. A questo punto ogni contatto con la realtà è perso. sto correndo in un bosco. su una montagna. in fondo al mar, con un granchio jamaicano.

Per fortuna la corsa finisce. mi fermo, respiro. Sono senza fiato, ma sono soddisfatto come puoi esserlo solo dopo una corsa.

Rifletto dunque su chi ho incrociato ieri correndo. C’erano i soli tizi superpompati, superfichi, che ti chiedi com’è possibile che loro saltellino sulla crosta terrestre come foglie al vento mentre tu trascini la tua putrescente carcassa con una fatica biblica.

Poi ci sono i poser (più spesso le poser, ma nel caso specifico erano due giovini maschi), vestiti da corsa, scarpa tattica, maglietta tecnica, polsino, occhiale da sole (ma il sole non c’è), armband per il telefono, cuffie. E camminano. Non nel senso che corrono lenti. Nel senso che camminano. Non marcia; proprio, camminata.

E mi va anche bene; ognuno segue un suo programma, e magari oggi loro fanno defaticamento o salcazzo. Però poi alla fontanella si bagnano il fronte della maglietta e si dicono a vecnda, dando di polso, “così sembra che abbiamo sudato, har har”. Ma chi prendi in giro? a parte te stesso, intendo.

Diametralmente opposta la signora, attorno ai 50, con tutina blu e cardigan (giuro, sembrava un cardigan) che ho incrociato due volte a correre sbuffando come un mantice (entrambi sbuffavamo).

 

Run to the hills

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Chi mi conosce sa che l’anno scorso ho rotto le palle a tutti con quanto corro, oh ma che bello correre, corriam corriam corriamo, che gioia correre al parco, le scarpe e la maglietta, correre.

Me ne scuso. Ma continuerò.

Ormai è un mesetto abbondante che, tra matrimonio e viaggi di nozze, non corro più. Domani l’idea è di ricominciare con la sessione invernale.

Molti corridori si pongono domande esistenziali sul perché si corre, quale sia il motivo segreto che ci spinge, se forse sotto sotto non scappiamo da qualcosa e insomma il correre è una metafora della fava grossa.

In realtà corro per coadiuvare la dieta così dimagrisco e torno bello come quand’ero giovane*.

*in realtà non sono mai stato bello

L’anno scorso a gennaio ho attaccato con la dieta dukan; In tre mesi ho perso venticinque chili, ed ora sto mantenendo un peso costante. Tra quindici chili sarò al mio peso – traguardo, ovvero novanta bei chili tondi. Una volta li si potrà pensare a metter su muscoli. Ma vedremo.

Per fortuna o per metabolismo, per me non è mai stato difficile perder peso; è che amo troppo mangiare per mantenermi magro (deh, più magro, via), indi per cui le precedenti diete mi vedevano magro per un po’, e poi via di nuovo verso le supercicce.

La dieta Dukan, che è tanto cara ai vegetariani in quanto prevede di nutrirsi delle proteine che gli animali producono quando vengono macellati rudemente, mi sta invece stupendo; Una dieta che prevede “mangia carne,mangiane fino a morire” sarà sempre nel mio cuore. E nello stomaco.

Non sono mai stato uno di quelli che dieta perchè “sono grasso e in spiaggia mi vergogno”. Sono fiero ed orgoglioso delle mie cicce, poiché concorrono a definire chi sono. Mi manca essere un cuoco per rientrare nello stereotipo di ciccione ridente che cucina; Se fossi un barista sarei quello con la battuta pronta che però a fine serata ti lancia le bombe di saggezza. Potrei essere un meccanico o un idraulico domani, il fisico ce l’ho.

Perché dieta dunque? Perché avrei piacere di tornare, almeno in parte, al fisico di quando ancora giocavo a Baseball, di quando mi allenavo, di quando sotto la ciccia c’erano un po’ di fibre muscolari. Di quando la gente diceva “lel dalli al ciccione” e scopriva troppo tardi che non c’é peggior cattivo di un buono quando diventa cattivo.

Correva l’anno…

Erano circa… no spe…

Facciamo così; frequentavo ancora il primo anno di Scienze Politiche. Un anno dopo circa il bardo sarebbe venuto a vivere da me. Avevo smesso da un anno di giocare ed ero in forma.

Tondo è comunque una forma. E’ la differenza tra ciccia colla ciccia sotto e ciccia con sotto uno che comunque si allenava tutti i giorni a rincorrere palline con una veemenza che pure i cani ogni tanto ci dicevano “ragazzi, insomma, sono solo palle”.

All’epoca Assago non era la cittadina vibrante di vita che è oggi; era un patetico buco di culo del mondo, con pochimila abitanti e zero prospettive per la vita sociale che non fossero baretti o circoli di calcio. I miei pochi amici dell’epoca frequentavano altre facoltà, e quindi la mia vita sociale avveniva sull’internet. Ma sto divagando.

Pur essendo a pochi km da Milano, assago era un incubo da raggiungere. C’era UN autobus che raggiungeva direttamente la metropoli, e dalla metropoli partivano due convogli; Uno, ogni ora, che arrivava ad Assago centro, e uno ogni mezz’ora che fermava all’incirca dove c’è il forum o proseguiva per Rozzano. Entrambi partivano dal parcheggio di Famagosta, al piano degli autobus, in questo strano capannone di acciaio e luci gialle che sembrava una scenografia di Blade Runner a cui avessero tolto i Neon.

Capitava dunque raramente che, in preda allo sconforto di aver perso l’autobus per Assago per pochi secondi (gli autisti erano famigerati per non aspettar nessuno e partire spesso prima del tempo), prendessi il mezzo che mi portava più vicino, ovvero al Forum, e procedessi a coprire a piedi i 3 km scarsi di strada che mi separavano da casa.

Dunque in quell’anno, l’edilizia era tornata a guardare come famelici occhi di brace la ridente cittadina periferica, e la dove prima c’era l’erba, ora sorgevano palazzine che sembravano uscite dalla mente dell’architetto di Eurodisney. Il vantaggio, per me, è che la strada veniva accorciata in modo considerevole visto che potevo attraversare i campi lungo i sentieri pedonali.

Il vantaggio per il tamarro medio di assago è che aveva posto ove pomiciare con la sua tipa.

Dunque una sera di settembre, verso le sette, sto tornando a casa da una lezione di qualcosa di cui non ricordo assolutamente nulla quando vedo una classica coppietta assaghese; Lui tamarro di periferia doc, capelli a spazzola, piumino e buffalo (già in declino ma comunque gettonate), lei futuro troione d’assalto, capello tinto e jeans stretch. Dico futuro perchè in due avranno fatto ventotto anni.

Io, come al solito, ho le cuffie del mio lettore cd (si, si, questo è un mito primordiale) a palla, il giubbotto di pelle nera, i guanti di pelle a mezze dita (oh dio, a ripensarci mi si accappona la pelle), la bandana (oh god) e una maglietta con teschio fiammeggiante degli offspring.

Va da sé che ero nel pieno del mio periodo metallaro.

Vedo questa coppietta e penso: “ah, l’amore, può esistere anche tra truzzi”. Sorrido tra me e me con fare maturo (gesù…), ma mi accorgo che i due non sembrano felici, anzi, sembrano litigare; Lei fa per andarsene, lui la trattiene per un braccio.

Abbasso la musica a zero e, spinto da istinti cavallereschi mai sopiti, ascolto.

“lasciami andare!” dice lei.
“no! adesso la risolviamo!” dice lui.

la conversazione langue su queste profondità balneari quando lui decide di sottolineare il suo punto di vista atterrando un ceffone alla ragazza, che lo guarda terrorizzata tenendosi la guancia.

Intervengo.

“Scusa, guarda, credo che sia meglio se te ne vai e la lasci stare”

Torreggio sul giovane tamarro di buoni venti centimetri e almeno altrettanti chili; Di ciccia e muscoli, ancora scattanti.

“Oh ma ti devi fare i cazzi tuoi, hai capito!”
“no, seriamente, facciamo che ti levi di torno e magari ne parlate al telefono, perché mettere le mani addosso a una donna è veramente una cazzata” (cielo)
“Oh minchia ti spacco la faccia, hai capito?”

Sottolinea il punto, il giovane manesco, con quello che il De Mauro – Paravia definisce un pugno; Egli mi ha colpito effettivamente il petto con la mano chiusa, causandomi un lieve sobbalzo della spalla. Il suo errore è stato colpirmi a sinistra col sinistro. Probabilmente mancino. Alzo il mio, di pugno, e colpisco col destro sullo zigomo.

Va disteso. Si rialza.

“MINCHIA T’AMMAZZO”

Scappa

“NON FINISCE QUI, TROIA”

Mi avvicino alla ragazza, valutando il miglior corso degli eventi; l’accompagno sotto il portone di casa? le faccio compagnia mentre chiama qualcuno?

“va tutto ben–”
“certo che sei proprio STRONZO”

e mi tira un ceffone. Si gira. Se ne va.

Rimango un attimo interdetto, dopodiché alzo le spalle e proseguo verso casa.

 

Week Seven, Day One

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“welcome back, Runner 5… today your traying may seem lighter than expected, but..”

Ok, if I learnt something in my 30 years on this planet, is that nothing that starts with “may seem easier than expected” ends well.

Ten minutes walking warmup? lol, ok.

Five minutes freeform run? bithc, I’m not walking here, I’m running these five minutes.

Ok, five more minutes with skips between them? lol, whatever floats your boat.

Five more minutes of freeform run? ok, this might get tiring. Finally, a three minutes breather.

Here we go again. Five minutes. I’m gonna go and finish this interval by climbing those stairs… yes, on the second. better than Rocky. Where are my lungs?

Five. More. Minutes? ok. ok. we can do this. come on.

Correre

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I primi tre minuti sono tipo:

“la maglietta è scomoda, la sento che sale”

“mi fa male il ginocchio”

“non so dove mettere le mani”

“oggi fa troooppo caldo”

tra il terzo e il quarto minuto, quando la vocina dell’ap ti ice “hai corso tre minuti inizia ad essere tipo:

“oh qui c’è il fiatone eh”

“oh non so se respiro bene”

“sudo, e non nel senso di linux”

dopo il quinto minuto, di solito, non te ne frega un cazzo delle mani, del sudore, e del caldo; i polmoni decidono un itmo che va bene e l’unica preoccupazione è mettere un piede davanti all’altro, fino a che la voce dell’app non ti dice “looking great, you can stop for now”

Correre. E d’improvviso tutte le pubblicità della nike acquistano senso.